Alle 02,00 del 24 Ottobre 1917 forze congiunte austro-tedesche scatenano una violenta offensiva nella zona delle linee italiane presieduta dalla 2a Armata, tra Plezzo e Tolmino.

Gli austro-tedeschi mettono in campo forze considerevoli, ma soprattutto adottano nuove tattiche, frutto dell’ esperienza fatta sul fronte occidentale. Queste non prevedono massicci e lunghi bombardamenti preparatori all’ attacco, ma brevi e intensi cannoneggiamenti su punti prestabiliti mentre   in contemporanea piccole unità armatissime e “autonome” attaccano le  prime linee e si infiltrano in profondità, .

Le conseguenze per il Regio Esercito sono micidiali, in particolare per la 2a Armata, che non ha attuato alcuna delle direttive di Cadorna , che ha richiesto esplicitamente la creazione di linee difensive capaci di reggere un attacco massiccio.(1)

Lo Stato Maggiore italiano ha colto infatti i segnali politici e militari che fanno presagire un eventuale attacco austro-ungarico appoggiato da rilevanti reparti tedeschi  Il fallimento dell’ offensiva francese sull’ Aisne nell’ Aprile e il mancato colpo di stato in Russia contro il governo Kerenskij, intenzionato ad uscire dalla guerra,  sono  segnali che fanno presagire il massiccio spostamento di truppe da un fronte all’ altro da parte degli Imperi centrali.

Non solo,  già i primi di Ottobre al servizio segreto italiano (l’ufficio 1) non è sfuggito l’arrivo di nuove unità nemiche sul fronte, anche se non riesce a stabilire ne la data ne la posizione esatta dell’offensiva, malgrado anche le dichiarazioni di alcuni disertori (che solo dopo si constatano veritiere).

All’ora stabilita, quindi un possente e concentrato bombardamento inizia a colpire le linee italiane, usando sia ordigni convenzionali sia con un gas sconosciuto che decima i reparti italiani in linea. Nel frattempo le prime unità di assalto tedesche di Van Bulow, senza aspettare la fine del bombardamento, hanno già iniziato ad attaccare le linee difensive italiane, riuscendo a penetrarle .

Il fuoco di controbatteria da parte dell’artiglieria italiana è scarso e senza efficacia. Anche qui viene fuori l’inadeguatezza  organizzativa del Regio Esercito, ancora ancorato rigidi sistemi che vengono superati dai nuovi concetti tattici tedeschi. Quest’ultimi  infatti  intercettano sistematicamente i messaggi italiani, e colpiscono in anticipo l’artiglieria italiana mettendola fuori dalla partita.

Malgrado la fiera resistenza di alcuni reparti italiani (nonostante quanto affermerà in seguito Cadorna) lo sfondamento avviene in più punti, e tanti unità italiane sono costrette a frettolosi ripiegamenti per non rimanere accerchiate o annientate dal grosso delle truppe austro-tedesche che affluiscono nei varchi aperti dalla unità d’assalto.

La spallata decisiva è effettuata dalla 12 Divisione Slesiana, che incurante delle unità italiane poste sulle cime dei monti, avanza rapidamente nella valle dell’ Isonzo. Alle 17,00 raggiunge Caporetto, mentre più a Sud l’ Alpenkorps e la 200° Divisione occupano le cime dei monti Podclabuz/Na Gradu-Klabuk e dello Jeza. La resistenza dei difensori è strenua, ma alla mezzanotte i decimati reparti italiani sono costretti alla resa, ormai completamente isolati.

I contrattacchi successivi italiani , scoordinati, non hanno successo.

Tra le file austro tedesco si distinse un giovane ufficiale che sarebbe diventato famoso, Erwin Rommel

Già dal primo giorno gli esiti dell’ offensiva sono chiari, e la situazione nei giorni successivi per il Regio Esercitò non migliorerà affatto, anzi. Falliti i tentativi di costituire una nuova linea difensiva sarà costretto ad ritirarsi, non sempre in maniera ordinata e a cedere velocemente terreno, fino addirittura al Piave.

In una guerra combattuta per anni staticamente su linee trincerate lo sviluppo dell’offensiva austro-tedesca impressiona sia la stampa che la classe politica italiana, il che probabilmente ha portato poi nel tempo ad identificare Caporetto come una disfatta, tanto da farne poi sinonimo.

Solo oggi alcuni storici, militari e non solo, la stanno rivisitando con un occhio più critico, che solo il tempo può concedere, e non parlano più apertamente di disfatta. Certamente l’ offensiva austro-tedesca fu un successo che  andò ben al di là degli obiettivi inizialmente prefissati che erano molto più limitati. Le perdite italiane furono ingenti, sia in uomini che materiali e ebbero logiche conseguenze conseguenze sia militari che politiche (2).

La “disfatta” riguardò in particolare una armata, la 2°. Le altre dovettero si ripiegare, ma molto spesso non lo fecero in quella maniera caotica come si è raccontato per molto tempo, certamente non fu tutto lineare e non lo poteva essere vista anche la rapidità dell’azione austro-tedesca… molti studiosi si stanno chiedendo, a mio avviso giustamente, se un esercito veramente allo sbando avrebbe potuto resistere sul Piave.

Le disfatte, quelle vere, le avremmo purtroppo viste decenni dopo, in un altro conflitto, in Nord Africa e soprattutto in Russia.

 

(1) nota dell’autore: ci sarebbe anche su questo punto da chiarire alcune cose. L’esercito Italiano aveva fin qui sempre condotto un’ attività offensiva specie sul fronte isontino. Solo nel caso della “Spedizione punitiva” del Maggio 1916  si era ritrovato sulla difensiva.

Si quindi potrebbe quasi affermare che non aveva una “propensione difensiva”, a differenza della controparte assai più predisposta in tal senso. Anche per questo fattore, l’attacco del 1917 fu per certi versi ancor più “sorprendente”.

(2) Nota dell’ autore: Troppo spesso non è stato considerato l’ effetto dei “media” dell’ epoca, ovvero della carta stampata, ieri come oggi altamente politicizzata. L’impatto emotivo di questa battaglia  persa ha condizionato per decenni l’opinione generale ma anche la storiografia ufficiale.