26- 29 Gennaio 1943

Ma la storia della ritirata del Corpo d’Armata Alpino non si chiude alle 18 del 26 Gennaio quando i russi si ritirano nella periferia nord di Nikolajewka lasciando agli italiani il controllo del resto della cittadina.

Il prezzo pagato per la conquista della piccola città è altissimo. Sia il Gen. Nasci che il Gen. Reverberi sono consapevoli che la “Tridentina” non può sostenere altri scontri come quello che li ha coinvolti a Nikolajewka. Le munizioni e gli uomini scarseggiano. E’ rimasto un solo semovente efficiente. Non ci si può riposare più di tanto, anche perché i russi potrebbero avere rinforzi da Valujki e la probabilità di essere attaccati è altissima. Del resto controllano ancora la zona nord della cittadina, guai ad avvicinarsi da quelle parti, chi per sbaglio vi entra non torna.

Non c’è tempo per piangere i propri morti, gli amici che sono rimasti su quella neve. Ci penseranno i russi poi a sotterrarli in alcune fosse comuni. Quanto prima si devono riassestare i reparti, o quel che ne rimane. Alle 2 del 27 riecheggia l’ordine di rimettersi in marcia. Ma solo alle 5 la colonna è in grado di muoversi. Il ritardo fa si che tra il Gen. Heidkamper, che è al comando del XXIV Panzerkorps dopo la morte del Gen. Eibl avvenuta il 21 Gennaio (1),  e il Gen. Reverberi scoppi una furiosa lite che solo l’intervento di Nasci placa prima che degeneri ulteriormente.

Una volta ripartita, la colonna, fortunatamente incontra solo pattuglie di regolari o di partigiani che tentano di ostacolarne, senza riuscirci, il passaggio.

Ma si continua morire, cadono uomini e muli per lo sfinimento. Non ci si può fermare, anzi. La “cicogna” tedesca ha portato ancora brutte notizie. Una forte formazione russa si sta muovendo su Uspenka. Si tratta di precederli, ogni minuto perso può risultare fatale. Alle 12 la raggiungono, subito vengono disposti presidi sulle colline circostanti, ma non si scorgono unità russe. Il 6°Reggimento con i semoventi e i fanti della XXIV si spingono più avanti per Lutowinowo. Nella notte piccole squadre di partigiani assaltano Uspenka dove è alloggiato il grosso degli sbandati. E’, l’ennesima, carneficina.

Il 28 mattina l’avanguardia riparte, si respira un’aria diversa, Novij Oskol, punto di sbocco dalla sacca indicato dalle ultime direttive dell’8a Armata, è vicina. Si pensa addirittura al pranzo. Una staffetta tedesca lo manda di traverso. Novij Oskol è occupata dalle truppe della 40° Armata di Moskalenko che si stanno dirigendo verso ovest. (2)

Nasci, Reverberi e Heidkamper fanno il punto della situazione. Ben presto concordano che non ci sono i mezzi sufficienti per sostenere un ennesimo scontro. Optano per una conversione verso sud-ovest, tagliando per la steppa. La sera raggiungono Slonovka.

Aumenta Il numero dei congelati e degli sfiniti, diminuisce il numero dei muli, alla fine si decide di staccare dal traino anche gli ultimi pezzi di artiglieria per portare solo le slitte con i feriti.

31 Gennaio 1943 : Šebekino

Ma stavolta sono davvero in salvo. Si trovano a loro insaputa, in mezzo a quella immensa terra di nessuno tra le due direttrici di avanzata dell’Armata Rossa. A nord c’è la 40° Armata di Moskalenko che sta muovendosi verso ovest in direzione di Kastornoe, a Sud la 3° Armata di Rybalko (3) che sta puntando spedita verso Kharkov.

La colonna principale si snoda ormai per diversi km. Ripartita da Solonovka il 29 riceve istruzioni di muoversi verso Barsuk, che raggiungerà nella sera, continuando quella lunga conversione verso Sud-Ovest, Devono subire ancora qualche puntata di alcuni gruppi di partigiani, specie in coda, ma di reparti regolari russi non c’è traccia.

Sempre guidati dalla “cicogna” tedesca si dirigono il 30 verso Bolsche Troizkoje. Qui alle 15 compare finalmente la colonna viveri e sanitari inviatagli incontro. I feriti e i congelati più gravi, vengono fatti salire sui mezzi, almeno fino a quando c’è posto.

Alcuni di loro verranno trasferiti all’ospedale di Kharkov da cui verranno poi evacuati precipitosamente il 6 Febbraio grazie all’eroico treno ospedale n° 3 dell’ Ordine militare di Malta che sfiderà i divieti degli alti comandi italo-tedeschi e le bombe dei sovietici che stanno entrando in città.

A Bolsche Troizkoje avviene anche la prima selezione: Tedeschi (circa 8.000) e Ungheresi (circa 6.000) vengono fatti proseguire, gli italiani sostano un giorno prima di procedere verso Šebekino che toccheranno il 31.

Qui si dispongono i punti di raccolta per le varie unità. Nei 2 giorni successivi sarà un lungo peregrinare di ombre che arrivano, completamente esauste.

Si iniziano a tirare le fila, ad aggiornare i ruolini. Ci si rende conto effettivamente dell’enorme numero di perdite subite.

Sono circa 6.500 gli Alpini della “Tridentina” che rispondono all’appello ancora sorretti dalle loro gambe , 3.300 quelli della “Julia”. Ancor meno,1.600 quelli della “Cuneense. Della “Vicenza” sono 1.300. Degli altri reparti che formavano il C.A. non si arriva a 1.000.

A questi vanno aggiunti circa altri 9.000 tra feriti e congelati che sono stati trasferiti negli ospedali. Non tutti guariranno. Chi ci riesce porterà con se per sempre i segni.

Tutti però si porteranno dietro le conseguenze psicologiche di quei tremendi giorni.

Ma il quadro generale è tutt’altro che stabile. I russi stanno continuando ad avanzare inarrestabili, bisogna trasferirsi verso ovest nelle retrovie più profonde. Ci si deve rimettere di nuovo in marcia. Il 2 Febbraio la colonna riparte, a piedi. Altri 700 km li separano da Gomel. Non la seguirà il comandante del 6°, il Col. Signorini: un’infarto lo ha stroncato il giorno prima.

A Akhtirka si aggiungono circa altri 4.500 uomini, usciti dalla sacca in altri punti e che sono stati riorganizzati a Ljubitin, ad ovest di Kharkov.

Sono tanti piccoli gruppi, che sono rimasti isolati nel corso dei vari scontri o che si sono anche solo attardati un’ora in più in un’ isba perdendo contatto con il resto delle propria colonna. Si sono autonomamente mossi verso ovest, passando per una “balka” (4) invece che per un’altra, andando a destra invece che a sinistra ad un bivio, riuscendo alla fine a filtrare tra le maglie russe e a raggiungere quindi la salvezza.

E’ quello che capita per esempio a un gruppo di alpini del “Morbegno” guidati dal Cap. Amighetti che insieme ad una quarantina di alpini della 25a sezione salmerie al comando del Cap. Negri sono riusciti in qualche modo ad uscire dal massacro di Warwarowka. A loro si uniranno alcuni sbandati raccolti per strada, delle altre divisioni, perfino della “Ravenna” e del “Cosseria” travolte a metà Dicembre. Dopo mille peripezie, braccati dai partigiani russi, attraverseranno la linea russa a metà strada tra Valujki e Nikilojewka. Il 30 saranno definitivamente fuori dalla sacca a Voltshansk, nei pressi di Kharkov.

La Colonna “Meinero”

A ricongiungersi con il resto degli alpini ci sono alcuni reparti delle salmerie, della sanità e della sussistenza che si trovavano nelle retrovie quando è iniziata la ritirata come nel caso del distaccamento guidato dal Ten. Meinero.

E’ un distaccamento composto dalla 22° Sezione salmerie reggimentali del 2°, da sezioni delle salmerie dei Battaglioni “Saluzzo”, ”Dronero” e “Borgo San Dalmazzo” , e di altri reparti di sanità. Il 15 Gennaio si trova nei pressi di Rowenki quando Meinero viene avvertito, da un suo subalterno che si era recato a Kriwonossowa per approvvigionare del fieno, che Rossoš è sotto attacco. Tra i bagliori dei magazzini che vengono dati alle fiamme, riesce a partire giusto in tempo prima che le avanguardie russe entrino in Rowenki, ma ormai è tagliato fuori dal resto delle divisioni alpine. Inizia così un lungo viaggio. Viene a sapere da alcuni tedeschi in fuga che Valujki, dove era diretto, è caduta in mano sovietica, per cui fa una larga conversione verso ovest, un lungo zig-zag, cercando con successo di evitare qualsiasi contatto con i russi a cui non potrebbe opporsi.

Il 27 Gennaio, la “Colonna Meinero” raggiungerà la periferia di Kharkov, quasi intatta, sia di uomini che di quadrupedi, prima di procedere più a nord per riunirsi al C.A. Alpino. Alla fine della sua piccola odissea avrà percorso più di 1.600 km.

Il Rientro

Molte altri non sono stati così fortunati, non sono riusciti a passare: sono caduti sotto i colpi dei russi o sono stati catturati. Altri si sono smarriti nelle gelide steppe e li sono rimasti per sempre.

Rimane solo un nome nella lunga lista dei dispersi.

Il 1 Marzo arrivano finalmente a Gomel (nell’attuale Bielorussia). Da qui partiranno a bordo dei treni nei giorni successivi per far ritorno in Italia. Nella torrida estate del ‘42 erano state necessarie oltre 200 tradotte per trasportare l’intero Corpo d’Armata Alpino in Russia. Otto mesi dopo ne basteranno 17 per fare il tragitto inverso. Giunti in Italia, verranno tenuti “nascosti”, indirizzati poi in caserme per un periodo di “quarantena” prima di poter tornare in licenza dalle famigli. Il regime non ha interesse di mostrare il volto della disfatta. (5)

Ancor più tragico sarà il destino di gran parte degli Alpini catturati dai sovietici. Fanno parte di quei circa 60.000 prigionieri (secondo fonti russe) catturati nell’operazioni belliche che vanno da metà Dicembre ‘42 a fine Gennaio ‘43. Di questi una parte non arriverà mai ai campi di prigionia, morirà durante le estenuanti marce forzate del “Davaj”.

Dal Settembre 1945, l’ Unione Sovietica inizierà il rimpatrio dei prigionieri italiani. Gli ultimi torneranno solo nel Febbraio del 1954.

In tutto saranno circa 20.000: solo la metà sono dell’ ArMIR (tra cui i Generali Pascolini, Ricagno e Battisti), gli altri sono soldati italiani trovati dai russi nei campi nazisti, internati dopo l’8 Settembre (6)

NOTE:

  1. Gen. Karl Eibl, a sua volta aveva preso il posto del Gen. Martin Wandel scomparso dopo lo sfondamento russo del 14 Gennaio. Eibl e Wandel sono stati tra i pochi alti ufficiali tedeschi che non disprezzavano i soldati italiani, in particolare gli alpini, specie dopo averli visti all’opera nel quadrivio di Selenji Yar. Rimangono misteriose le cause delle ferite che lo portarono alla morte di Eibl. Secondo alcuni fonti fu vittima del “fuoco amico” degli alpini che avevano scambiato il suo mezzo comando per un mezzo russo durante gli scontri a Postojalyj.
  2. Operazione “Voronež-Kastornoe”. E’ la quarta e ultima offensiva messa in piedi dai sovietici per liberare l’area del Don. Dopo l’esito delle precedenti offensive la STAVKA decide di sfruttarne il successo colpendo con l’ennesimo attacco a tenaglia la 2a Armata Tedesca (che era posizionata a nord del fronte tenuto dall’ ArMIR) e che rivivrà quanto vissuto dagli italiani tra il Dicembre e il Gennaio, con perdite altissime.
  3. La 3a Armata del Gen. Rybalko sarà alla fine del conflitto la più “vittoriosa” dell’armate sovietiche. Tuttavia nel Marzo successivo subirà un pesante rovescio, quando spintasi troppo in profondità fino al Dnepr, subirà il contrattacco tedesco che riconquisterà Kharkov.
  4. Balka : una valletta, una delle infinite caratterizzanti la steppa e i campi coltivati fatti di terra nera, le macchie di pini, betulle e querce, che corrono dall’Ucraina sino agli Urali.
  5. “Che alpini o non alpini! Ma vi vedete? – urlò allora ai rinchiusi il ferroviere; – vi accorgete sì o no, Cristo, che fate schifo?”. Giulio Bedeschi Ufficiale medico (3° Reggimento Artiglieria di Montagna, Divisione Julia).
  6. Tra questi anche il Gen. Reverberi. Catturato dai tedeschi dopo l’8 Settembre viene internato presso il campo di Posen. Dichiaratosi pronto ad entrare nel nuovo esercito della R.S.I. viene trasferito in Francia a Vittel. Qui prende contatto con la resistenza francese. Scoperto, viene di nuovo internato, prima a Wietzendorf e poi di nuovo a Posen. Agli inizi del 1945 Posen cade in mano ai russi che lo trasferiscono in un campo di prigionia nei pressi di Kiev. Rientrerà in Italia nel Settembre dello stesso anno.