Dal n° 1 anno 2023 del giornale Sezionale “La Nostra Penna”

RICORDO DI NAIA

Fra i tanti ricordi che si sono ormai un po’ annebbiati ce n’è uno che ritorna nitido all’approssimarsi di una data: 12 Febbraio.

Non è una data qualunque, è la data in cui ho cambiato il modo di vivere la montagna e mi ha reso consapevole della necessità di rispetto che le dobbiamo. Una durissima prova abbiamo dovuto superare quel terribile 12 Febbraio 1972.

Eravamo al campo invernale e, belli carichi di entusiasmo, avevamo l’ordine di preparare il camminamento che avrebbe dovuto, uso il condizionale, portare gli Alpini di Malles e subito dopo noi del Gruppo Bergamo, allo scavalcamento della Forcella di Slingia.

Il nostro accampamento fin dai primi giorni di Febbraio era una malga chiamata “ Villalta”, se non ricordo male, e da li partivamo con due muli carichi di pale per scavare nella neve e aprire il sentiero agli Alpini.

Il giorno 11 Febbraio sotto una tormenta di neve che in certi punti aveva ricoperto tutto il nostro lavoro il sentiero era pronto. Avevamo molti dubbi sulla riuscita dello scavalcamento, ma a notte fonda vedemmo passare la colonna degli Alpini.

Furono scambiate due parole con le guardie della malga e capimmo che l’umore degli Alpini non era dei migliori. Purtroppo il tentativo di passare la Forcella fallì.

La colonna degli Alpini, una volta arrivati quasi al punto più alto del sentiero e in mezzo ad una vera tempesta di neve, ricevette l’ordine di tornare indietro e fu in quel momento che la slavina li travolse.

Erano approssimativamente le tre della mattina di quel maledetto 12 Febbraio 1972 che si presentò alla guardia della Malga il Ten. Palestro chiedendoci di intervenire il più presto possibile su al Passo perché erano stati travolti dalla neve un gran numero di ragazzi.

Lui continuò la discesa verso valle per chiedere aiuto e noi caricammo velocemente tre muli con le pale e ci incamminammo tutti verso la “Forcella”.

Dopo circa due ore arrivammo sul posto, ma il buio non ci dava l’idea di cosa era avvenuto.

La buonanima del Cap. Cavallero organizzò l’inizio delle ricerche. Tutti con la pala a scavare compreso il Capitano.

Le ore passavano e le prime luci del giorno ci presentarono uno spettacolo terribile. Lungo i bordi di quel che rimaneva del sentiero erano distesi alcuni corpi avvolti in teli tenda. Alcuni non davano segni di vita e altri avevano il corpo congelato e il viso e le mani completamente nere. Alle otto circa al primo contrappello mancava ancora qualcuno.

E via di nuovo a scavare.

Ricordo Angelo Bonanomi che tentava da ore di mettersi in contatto via radio con i soccorsi ed aveva il contorno della bocca ed aveva il contorno della bocca e sopracciglia ghiacciati. Una vera maschera di ghiaccio.

A distanza di anni, tanti anni, ancora, quando ci sentiamo, ricordiamo quei momenti.

Dopo circa un’ora altro contrappello e questa volta mancava solo un nome.

Ci disponemmo a rastrello con le sonde dove si era fermata la slavina e dopo due ore di ricerche trovammo l’ultimo Alpino purtroppo deceduto sotto metri di neve. Era il settimo trovato senza vita.

Lungo il sentiero dove erano stati adagiati i corpi c’era un gran viavai di militari che con il “cordiale” massaggiavano le parti del corpo congelate dei loro compagni.

Tutti si davano da fare, non esistevano gerarchie. Alle undici circa, dopo aver caricato le pale sui muli, cominciammo la discesa verso la Malga Villalta e durante il tragitto incrociammo tutti quei soccorritori che salivano e che avrebbero, poi in seguito, preso gli elogi per l’operazione compiuta.

Ricordo che un importante giornale nazionale scrisse che “un tempestivo intervento dei mezzi di soccorso aveva salvato molte vite” e agli Artiglieri del Gruppo Bergamo e agli Alpini della Tirano nemmeno un accenno di riconoscenza.

A noi in quel momento non interessava l’encomio, interessava uscire da quell’incubo quanto prima.

L’arrivare alla Malga, smantellare l’accampamento, preparare gli zaini, caricare i muli furono operazioni velocissime, e giù per la valle innevata in direzione San Valentino alla Muta e poi Malles Venosta in un silenzio surreale.

Quel giorno scoprimmo che la montagna vuole silenzio e, come dicevo all’inizio, mentre scendevamo gli occhi erano puntati verso le pareti di quella vallata e mai come allora la montagna ci faceva paura.

Arrivammo in caserma a Malles che era già buio, la nostra giornata era alla fine e si cominciava a prendere coscienza allora di quello che era avvenuto.

In ogni angolo della caserma c’erano ragazzi che piangevano disperatamente la perdita dei loro giovani amici.

Per uno strano motivo che non conosco quando li tiravamo fuori dalla neve erano numeri: “sono due”, “è il quarto” e così via, ma ora erano diventati ragazzi che se ne erano andati per sempre.

Ho scoperto che vicino al punto dove è caduta la slavina è stata eretta una cappella con i nomi dei ragazzi, chissà se un giorno potrò andare a portarci un fiore.

Artigliere Alpino Talarico Filippo