Premessa; quello che scrivo in questo articolo è una riflessione personale e quindi opinabile. Mi capita spesso di parlare con i Veci della Sezione. Di ascoltare le loro storie piene di aneddoti che rendono bene l’idea di com’era vissuta l’appartenenza al mondo degli Alpini in passato. Il che poi mi ha portato ovviamente a fare i confronti con i giorni nostri.
Sicuramente un tempo la vita associativa, sia di Sezione che di Gruppo, veniva vissuta in maniera più “genuina”, più “spensierata”. L’incontro in sede a Santa Croce, per esempio, era appunto un incontro. Ci si ritrovava tra amici a fare due chiacchiere, magari una partita a carte, un bicchiere di Vino (o grappa) che scioglieva la voce per delle belle cantate…e poi magari si chiudeva con una spaghettata.
Questa era anche figlia di una situazione sociale assai diversa da quella odierna, in un Italia che stava uscendo dalla ricostruzione post guerra. E infatti tra quegli iscritti c’erano Veci che la guerra l’avevano fatta, e gli stessi Bocia appartenevano a generazioni comunque nate in quel periodo. Il “vivere” l’Associazione era diverso. E vuoi anche perché non esistevano poi così tanti “svaghi” alternativi per cui la sede della Sezione o del Gruppo diventava uno dei tanti, all’epoca, circolini dove ritrovarsi e magari fare nuove amicizie in nome delle “Penne nere”.
A lato di questa convivialità, anche la gestione “amministrativa” era relativamente meno complicata. Un quaderno con le entrate e le uscite, uno dove riportare i verbali delle riunioni “e rizzati”, per dirla alla fiorentina. Lo stesso volontariato era vissuto con animo diverso. C’è da dare una mano…la si da, Cappello in testa e via. Questo non vuol dire che fosse tutto rose e fiori, senza problemi. Sarebbe sciocco pensarlo.
Con l’avanzare dei tempi, con il “benessere” crescente, la società stessa è cambiata. Potrei portare tantissimi esempi, mi limito a 2 banalissimi. Uno, le possibilità di svago del fine settimana sono aumentate, specie nelle realtà cittadine.
E’ sufficiente fare due passi in un qualsiasi centro cittadino per rendersene conto, dove tra birrerie, caffè, locali notturni e altro c’è l’imbarazzo della scelta. Altro esempio banale: negli anni ‘60, ma anche ‘70, l’offerta televisiva si limitava a 2 o 3 canali pubblici e a qualche eroica emittente locale. Oggi è perfino stata superata dell’avvento di internet, senza parlare del mondo “social”. Insomma, uno di opzioni per le sue “libere uscite” ne ha anche fin troppe, compresa quella di stare in casa a smanettare su un telecomando invece che su una tastiera del computer o del suo smartphone.
Ma anche la stessa “naja” ha cominciato ad essere vista dalla società in maniera diversa: da un dovere da svolgere per usufruire dei diritti garantiti dalla costituzione, a “un’inutile spreco di tempo” con il risultato che alla fine chi governa ha deciso che era un dovere a cui si poteva rinunciare, scordandosi così la lezione impartita dalla Rivoluzione Francese, dove l’obbligatorietà non serviva solo per rimpolpare i ranghi decimati ma come un passo per la creazione di una entità nazionale.
Vogliamo poi parlare dei costi in perenne aumento, che la nostra Sezione e i nostri Gruppi si trovano a sostenere ? Alla fine la “spaghettata” occasionale si è dovuta trasformare nell’evento clou della serata per “tirare avanti la baracca”.
E di pari passo abbiamo assistito all’aumento esponenziale della burocrazia, di una crescente richiesta di obblighi imposti dai legislatori. Oggi una Associazione di qualsiasi genere e finalità è soggetta a vincoli di legge che il foglietto con i “conti della serva” non è più sufficiente.
Pensiamo solo al mondo del volontariato dove chi vuol dare una mano oggi dev’essere certificato, “vidimato con il bollino blu” come uso dire…altrimenti niente. Ora pensate un attimo se gli Alpini che sono partiti per il Friuli nel ‘76 avessero dovuti essere tutti patentati.
Non voglio dire che tutto questa “implementazione” tecno-amministrativa abbia solo aspetti negativi. Non lo è, ma certamente richiede un notevole impegno, a cui non sempre si può ricorrere con risorse interne, visto anche la complessità di certi argomenti.
Ecco perché ogni tanto sentite dire, specie chi partecipa alle riunioni dei Delegati o dei Capogruppo, che questa Sezione ormai va gestita come fosse una azienda; che il Consiglio di Sezione, di cui fo parte, è chiamato in alcune occasioni, ad agire ne più ne meno come un Consiglio di Amministrazione di una società.
A tutto questo però va anche aggiunto che sono cambiati anche gli Alpini stessi.
Un Alpino della mia classe, 1968, non ha la stessa mentalità di uno del 1950. Può condividerne i valori fondamentali ma proprio perché appartenente a un’epoca diversa e quindi cresciuto in una società in continua mutuazione, vivrà l’Associazione in maniera diversa. Così come del resto vedo differenze tra la mia generazione e quella nata successivamente. In tal senso mi rammento sempre le parole di un giovane Capogruppo di un paese del Nord, quindi una zona a “vocazione Alpina” assai maggiore rispetto alle nostra, che raccontava come i suoi coetanei, vedendolo con il Cappello in testa gli avessero chiesto come mai stava ancora dietro a “queste cose del passato”.
Chiudo questa mia riflessione invitando i nostri Veci a cercare di comprendere che, volenti o nolenti, anche il nostro mondo è cambiato, è dovuto cambiare, e sarà soggetto ad altri cambiamenti, per cui quella “genuinità” di cui parlavo all’inizio non dovrà sparire e la si deve cercare di tramandarla ai nuovi arrivati, anche se sono sempre meno purtroppo, per i motivi che tutti sappiamo.
Così come porgo un invito alle nuove generazioni e ai nuovi arrivati di partecipare alla vita dei propri Gruppi, anche al di fuori delle specificità per i quali magari si sono avvicinati a noi (che poi nel nostro caso spesso è la Protezione Civile).
Di conoscere cos’è l’A.N.A. nei suoi molteplici aspetti.
Perché noi ancora non siamo il “passato”.
Daniele Tigli